Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.

At 2, 1-4

Parlare della Pentecoste è difficile. Cristo ha operato nella vita degli Apostoli, è morto, ed è risorto, restando con loro fino all’Ascensione. Poi la sua forma fisica scompare:

Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò.

Gv 16, 7

Il consolatore è lo Spirito di Dio, che si manifesta nella Chiesa. Per questo la tradizione vuole che la Pentecoste sia la «festa della Chiesa».

È vero. Ma c’è un altro punto di vista da tenere in conto: la narrazione degli Atti riferisce un fatto carismatico, un evento impetuoso come il vento (πνεῦμα) che entra e mette a soqquadro la vita degli uomini, e cambia il loro modo di essere. San Luca ci dice che i presenti, provenienti da mezzo Mediterraneo, sentono parlare la loro lingua, e si meravigliano per quello che è a tutti gli effetti un miracolo inspiegabile, di cui esistono molte interpretazioni, anche allegoriche.

Quella che vi voglio proporre oggi, dilettissimi fratelli, è la più banale di tutte: lo Spirito parla veramente tutte le lingue, non solo perché parla a tutti gli uomini della terra, ma anche e soprattutto perché conosce le parole giuste per rivolgersi a ognuno di noi in ogni momento della nostra misera esistenza. Lo Spirito di Dio, qui e ora, ha una parola per venirci incontro: non è un idolo astratto, non è un principio immobile e impenetrabile, è un amore pervadente in cui tutti noi siamo immischiati, perché esistiamo in Lui. La differenza tra gli iniziati al mistero di Cristo e i profani è proprio questa: percepire l’amore di Dio in ogni istante, bello o brutto, della nostra vita. E ciò significa saper ascoltare lo Spirito, sentire che ci parla qui e ora, a me, a te, a noi, nella nostra lingua, nel modo in cui adesso possiamo comprenderlo. Che non sarà forse il modo migliore in assoluto, ma è il modo che la nostra contingenza ha sperimentato per farci compiere l’incontro con Lui. Questa è la Chiesa: la manifestazione dell’amore di Dio, senza cui non c’è creazione, senza cui non c’è redenzione, senza cui non c’è resurrezione.

Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri.

Gv 13, 35

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *