Il 14 settembre del 327, raccontano gli agiografi, Sant’Elena, devota madre di Costantino, ritrovò a Gerusalemme la Croce di Cristo. Si può trattare il fatto storico per quello che è, ossia come «invenzione» della Croce (dal latino invenio, cioè scopro, ritrovo), oppure – seguendo la tradizione della Chiesa indivisa – si può guardare oltre la dimensione materiale della Storia, e parlare così di «esaltazione» della Santa Croce, festa che il Messale gallicano da noi seguito, unitamente a quello tridentino, celebra il 3 maggio.

Che vuol dire, dunque, «esaltare» la Croce? Lo spiega bene San Paolo:

La parola della croce infatti è stoltezza per quelli cha vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio. Sta scritto infatti: “Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti” Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. (1 Cor 1, 18-25)

I Giudei si aspettavano un Messia potente sulla Terra, che avrebbe distrutto i nemici di Israele ed instaurato un regno materiale di prosperità per il loro popolo; ricevono invece un Cristo che muore come si ammazzano gli schiavi, e ciò è per loro semplicemente vergognoso.

I Greci, che in questo passo rappresentano il mondo greco-romano, sono invece sofisticati filosofi, e vogliono capire la Fede in concreto alla luce di una ragione misurabile con squadra e compasso: perché Cristo non è sceso dalla Croce (Mt 27, 40) compiendo il miracolo della sua salvezza terrena? Il messaggio cristiano appare loro stolto, ridicolo quanto un Dio che muore.

San Paolo risponde a Giudei e Pagani con la forza del sacrificio di Cristo: entrambi i popoli hanno immaginato Dio come un potere terreno, a immagine dell’uomo, e non come l’Amore Assoluto che non può essere contenuto da alcuna forza materiale. In questo modo vedono nella Croce un fallimento: se tutto ciò che abbiamo è la materia, Cristo che muore vergognosamente torturato peggio di una bestia è un fallito, e fallito nel peggiore dei modi.

Ma se Cristo è risorto il terzo giorno, allora la Croce è fonte unica di salvezza:

Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. (1 Cor 15, 14)

Accettare il miracolo della Resurrezione, che è un atto di Fede, significa dare un senso alla Croce: Cristo doveva morire, pagando il debito della nostra natura umana, quella cosa che chiamiamo «peccato», perché potesse risorgere e stabilire il suo regno sul mondo.

Un Dio onnipotente che risorge senza morire di Croce non fa una gran cosa: la portata straordinaria ed irripetibile dell’esperienza cristiana sta nelle piaghe di Cristo crocifisso, nella sua sofferenza e nella sua morte: è una morte di amore perché è stata terribile, vergognosa e violenta, ed in quell’amore si è espressa sublimemente la Redenzione.

Si è veramente cristiani quando si apprende ad amare la Croce, quella che Dio accolla a tutti, e Cristo ha esaltato con il suo sacrificio:

Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà. Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso? Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell’uomo, quando verrà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi. (Lc 9, 23-26)

Il peso della Croce si fa allora leggero, perché è Cristo a portarlo per noi: nulla può farci veramente male, se uniamo la nostra croce a quella del Redentore.

Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero. (Mt 11, 28-30)

Questa è la vera «esaltazione» della Santa Croce: quando essa è innalzata sul mondo e portata a misura delle cose terrene, oltre il tempo e lo spazio, nella pienezza cosmica di un Amore che è acceso fin dal principio di tutti i tempi, ed in Cristo Gesù ha trovato la sua manifestazione perfetta nel mondo.

Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia. (1 Pt 2, 24)

La Croce di Cristo è, dunque, quella cui ambisce ogni cristiano, perché – come insegna il Redentore – non vi è amore più grande che dare la vita per i proprii amici (Gv 15, 13).

Sì, io amo la croce, la croce sola; l’amo perché la vedo sempre alle spalle di Gesù. Oramai Gesù vede benissimo che tutta la mia vita, tutto il mio cuore è votato tutto a lui ed alle sue pene. Deh! Padre mio, compatitemi se tengo questo linguaggio; Gesù solo può comprendere che pena sia per me, allorché mi si prepara davanti la scena dolorosa del Calvario. (San Pio da Pietrelcina, Epistolario, vol. I, n. 335)

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