La FSSPX (cosiddetti «lefebvriani»), dopo la morte di Mons. Tissier de Mallerais (2024), e la precedente defezione di Mons. Williamson (oggetto di un fastidioso scandalo politico), vede restringere il numero dei proprii vescovi a soli due prelati: Mons. Bernard Fellay e Mons. Alfonso de Gallareta. Il timore di restare senza un ministro ordinato nel grado dell’episcopato è palpabile, e la Fraternità ha recentemente annunciato a mezzo di suoi rappresentanti (in maniera – per la verità – piuttosto cauta, ma decisa), che procederà a nuove consacrazioni (qui un documento audiovisivo).
Mons. Lefebvre non aveva concepito la FSSPX come uno scisma, bensì come una situazione di provvisoria insubordinazione a Roma che, nelle intenzioni (ma non nei fatti) non mirava a rompere la comunione ecclesiale. I vescovi della FSSPX, come spiegò Mons. Tissier, che ne fu a lungo ideologo, erano quasi dei vescovi ausiliari, che concorrevano al bene della Chiesa romana.
Va osservato che, in quegli stessi anni (all’incirca dopo il 1970, anno di imposizione del Novus Ordo Missæ) nella Chiesa imperversavano scismi di ogni tipo, tipicamente congegnati attorno a due filoni: il conclavismo, che sosteneva la nullità dell’elezione di Paolo VI ed il bisogno di sostituirlo con un nuovo conclave, ed il sedevacantismo, che sosteneva – nelle sue mille varianti – l’impossibilità di un nuovo conclave legittimo, ed il bisogno di ammettere, semplicemente, la vacanza della sede romana. Un esempio di conclavismo estremo fu la Chiesa Palmariana, ancora esistente, che giunse ad eleggere un nuovo pontefice ed a stabilire una nuova gerarchia. Lefebvre doveva avere presenti questi modelli, e volle differenziarsene restando sempre intrinsecamente romano.
Questa tendenza, col suo corollario di giustificazioni canonistiche, è stata consacrata dalla remissione della scomunica per scisma decisa da Benedetto XVI in favore dei vescovi ordinati da Lefebvre in seno alla FSSPX. Grazie a questo atto pontificio, infatti, la posizione della FSSPX si avvicinava a quella degli ortodossi: la Santa Sede non riconosceva la liceità della loro giurisdizione, ma ne tollerava l’esistenza. In questa veste Papa Francesco ha ammesso i sacerdoti della FSSPX alla funzione di confessori per il Giubileo straordinario del 2015. Ciò non ha comportato il rientro dello scisma, ma indubbiamente ha favorito una sua normalizzazione.
In seguito il pontificato di Francesco ha preso una china incompatibile col rientro in piena comunione della Fraternità. Si può affermare che, per molti aspetti, la Chiesa contemporanea appaia quasi un culto totalmente diverso da quello professato dalla FSSPX, non solo a livello liturgico. La distanza ideologica della FSSPX su temi importanti del dibattito pastorale, teologico e politico della modernità, come il ruolo delle donne, l’accettazione delle persone LGBTQI+, la pastorale matrimoniale, il fine vita, la sinodalità, e molte altre questioni, è tale da non lasciare presumere un futuro avvicinamento. Tuttavia la FSSPX continua a presentarsi come parte della stessa Chiesa che avversa, e ciò per ragioni ideologiche: il modello ecclesiologico preconciliare non ammette alcuna altra Chiesa diversa dalla romana. La FSSPX non può quindi presentarsi come «Chiesa», perché crede dogmaticamente che l’unica Chiesa di Cristo sia «cum Petro et sub Petro».
Adesso che i vertici della Fraternità parlano apertamente di nuove consacrazioni episcopali, il che significa nuove scomuniche, salvo pietire da Roma un consenso che, a questo punto, sembra pari a raccomandare la pecora al lupo, c’è da chiedersi quanto dell’ideologia di base della FSSPX possa essere conservato.
La risposta è che un cattolicesimo preconciliare con una gerarchia autonoma è, a tutti gli effetti, una Chiesa indipendente di modello vetero-cattolico. Le somiglianze tra la FSSPX e l’Unione di Scranton, in particolare, sarebbero minime e superabili. Sostenere di essere ancora parte della Chiesa romana sarebbe impossibile, salvo che la Fraternità non passi al conclavismo, eleggendo un nuovo Pontefice, il che – ovviamente! – pare assurdo.
I fedeli della FSSPX non sono consci del problema, perché convinti di essere gli unici sani in un mondo malato. In questo modo guardano a Roma come una Babilonia da redimere, ed alle Chiese indipendenti come a uno strano animale totalmente diverso da loro. Al contrario, è ormai chiaro che la FSSPX sia a tutti gli effetti una Chiesa indipendente al pari di altre centinaia sorte in tutto il mondo. Le dotte giustificazioni di Lefebvre al proprio operato, basate sulla pretesa che Roma potesse improvvisamente invertire la marcia avviata sulla scorta del Concilio, ora sembrano improponibili.
Le vie del Signore sono infinite; ma quelle degli uomini sembrano avere una direzione segnata da malumori ed incomprensioni. L’augurio è che un giorno la FSSPX possa trovare una dimensione pacifica della sua esistenza, senza dover cercare compromessi impossibili.