La Chiesa romana si accinge a canonizzare il beato Carlo Acutis. Nessuno può mettere in dubbio il fatto che questo ragazzo, morto quindicenne per un male incurabile, fosse una persona amabile, e tantomeno che fosse una persona devota a Cristo risorto, che certamente ha anche accompagnato la sua vita con dei segni, del tutto comuni per chi riconosce Dio nella propria quotidianità.

Moltissime persone buone e devote, di tutte le età, muoiono ogni giorno; per queste persone si celebra annualmente la festa di Ognissanti: sono i nostri genitori, fratelli, zii, figli, amici, conoscenti che hanno teso mani di aiuto nella vita del loro prossimo e hanno contribuito a rendere il mondo terreno un posto migliore in cui vivere la nostra umanità, materiale e spirituale. Carlo Acutis era certamente una persona del genere: un bravo ragazzo, un figlio esemplare, un buon servitore di Cristo nei limiti della sua età e sicuramente con l’aiuto della grazia sacramentale. Una persona che è riuscita a trovare un senso in Cristo al proprio tragico destino, dando così un senso alla stessa religione.

La domanda è se ciò basti per una canonizzazione pubblica. Come a molti è noto, dopo la riforma del processo di canonizzazione voluta da Giovanni Paolo II, solo nel suo pontificato il numero delle canonizzazioni si è quintuplicato: la causa è il ridimensionamento del ruolo del promotor fidei, l’ufficiale deputato a fare da «avvocato del diavolo» ricercando aspetti spiacevoli o inopportuni della vita del candidato, al fine di metterne in dubbio la santità. Già solo questo dovrebbe far intuire la minore serietà dei moderni processi di canonizzazione, che richiedono un apparato burocratico elefantiaco e costosissimo, fino a spese dell’ordine di svariate centinaia di migliaia di euro, ovviamente a carico dei comitati promotori (benché teoricamente esista un fondo apposito per le cause sottofinanziate).

Ciò ovviamente significa che quanto più è forte il contesto sociale in cui è vissuto il servo di Dio (congregazione, istituto, missione, diocesi e ovviamente famiglia) tanto più si reperiscono i fondi per la canonizzazione, spesso promossa per mere finalità politiche: si pensi al famigerato pedofilo Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo, che, per favorire un vero e proprio culto della personalità nei suoi confronti, avviò la causa di beatificazione di sua madre Maura Degollado.

Da queste evidenze fattuali si comprende come la canonizzazione solenne sia, in estrema sintesi, un atto politico, più che di fede; tant’è che persone che furono certamente sante in vita, come suor Mectilde de Bar, Pio IX, Pio XII o frà Bernardo Scammacca, non sono mai state elevate agli onori degli altari, talora con la scusa (puerile) che non farebbero miracoli, altro grottesco prerequisito della canonizzazione romana, come se fosse possibile dire a posteriore se un evento inspiegabile possa essere attribuito all’intercessione di un’anima o di un’altra!

La ragione vera della loro mancata canonizzazione, invece, è che o le loro comunità di appartenenza non sono interessate a pagare la canonizzazione (come nel caso della gloriosa benedettina Mectilde de Bar, le cui uniche devote sono monache di clausura sue consorelle) o ci sono ragioni politiche specifiche che la impediscono (il Risorgimento per Pio IX e l’Olocausto per Pio XII). Un caso veramente estremo è quello del seminarista quattordicenne Rolando Rivi (1931-1945), torturato e martirizzato in modo atroce da un gruppo di partigiani per il gusto di ammazzare una persona votata al sacerdozio: nonostante la venerazione universale in tutta la Chiesa, la beatificazione nel 2013 è stata accompagnata da grottesche polemiche da parte di chi pretendeva di difendere ad oltranza i criminali che lo avevano ucciso, perché membri della resistenza.

Veniamo dunque a Carlo Acutis e domandiamoci: cosa si può dire dell’esempio di questo bravo e devoto ragazzo morto tragicamente a soli quindici anni? In primis rileviamo che non serve una laurea in psicologia per non confidare troppo nella fede degli adolescenti: molti di noi sanno bene che a quindici anni avevamo valori molto diversi da quelli sviluppati a venti o a trent’anni; la personalità di un adolescente non è matura, ed è essenzialmente il frutto dell’incontro di una base genetica caratteriale con le nozioni e gli stimoli appresi in famiglia, perché il ragazzo non ha ancora avuto modo di compiere scelte veramente autonome e di vivere esperienze in grado di scuotere le sue convinzioni, come – prima tra tutte – la morte di una persona amata, e – non in ultimo – la vita di relazione.

Da questo punto di vista l’agiografia di Carlo Acutis è letteralmente imbarazzante: la madre, cui si deve il massimo rispetto per la tragedia vissuta, è arrivata a dichiarare che «i promotori della causa di beatificazione hanno analizzato in profondità la memoria del suo computer con le tecniche dell’indagine forense, senza riscontrare la minima traccia di attività sconvenienti» (qui l’intervista).

Ci sarebbe da chiedersi in primis se sia normale, nei processi di canonizzazione del XXI secolo, violare la coscienza di un morto (oggi si direbbe la privacy) alla ricerca di una grottesca “prova di santità”, e poi se sia tollerabile offuscare la memoria di un bravo ragazzo come Carlo Acutis per la presenza, magari, di una foto osé o di un video pornografico: i santi non sono certo santi perché non peccano mai, ma forse quest’ultima considerazione non è universalmente accettata in certi ambienti del cattolicesimo romano, dove invece qualcuno ritiene che si possa andare in Paradiso per giustizia, e non solo per Misericordia.

Ne desumiamo che questo povero ragazzo non sarebbe stato santificato se si fosse trovata una donna (o un uomo) in déshabillé nel suo computer; di più, dobbiamo pensare che per la Santa Chiesa sia un peccato gravissimo che un quindicenne abbia certi istinti sessuali (anche se non si capisce quando si dovrebbero avere, se non a quindici anni). Che poi, noi che siamo coetanei del povero Carlo, sappiamo bene che basta un minimo di competenza da utente medio per cancellare qualsiasi cronologia, ed al contempo siamo certi che qualunque “indagine forense” avrebbe rivelato, in ogni computer degli anni 2000 connesso a internet, montagne di materiale “sconveniente” che penetrava tramite cookies e file temporanei anche attraverso il più ingenuo dei siti parrocchiali.

Alla Chiesa è piaciuta invece l’immagine del ragazzino genio dell’informatica, che ama l’eucaristia e addirittura allestisce dossiers sui miracoli eucaristici, che gioca al computer ma non troppo, amico di tutti e morto tragicamente, come un santo barocco, con espressione di virtù eroica. Il cadavere di questo povero ragazzo, spolpato in diversi pezzi, è stato ricomposto in un’urna con un mascherone di gomma e una squallida tuta di plastica: il sacro della reliquia ed il profano dell’ostentazione di un corpo ridotto a feticcio, immagine di una giovinezza stroncata dalla malattia ma che, nella mentalità contorta di chi ha costruito questa mitologia contemporanea, dovrebbe avvicinare i giovani con un modello giovane, come se San Luigi Gonzaga, capace di rifiutare la primogenitura e di morire di peste per essersi caricato un malato sulle spalle, fosse un santo “desueto”, un modello poco attuale per ragazzi che giocano al computer e forse non hanno neanche idea di cosa sia la Messa.

La vicenda della canonizzazione di Carlo Acutis assume così i contorni di una mossa politica sfacciata e vergognosa, perpetrata sul corpo di un ragazzino il cui merito principale è quello di essere morto troppo giovane per mettere in dubbio le proprie idee. Una persona senza dubbio speciale, un ragazzo buono che merita rispetto e ammirazione per la forza dimostrata davanti alla morte, ma che viene ora ridotto a stereotipo di una santità eunucoide e grottesca, al solo fine di irretire giovani leve per il cattolicesimo morente attraverso narrazioni al limite dell’assurdo (premunizioni, scienza infusa, sogni premonitori, miracoli assortiti) e l’imposizione di modelli sociali ormai senza senso nel mondo moderno.

Carlo Acutis è santo, e su questo non ci sono dubbi. È un santo come tutti possiamo e dobbiamo essere santi, cioè confidando che Gesù Cristo è il nostro Signore e salvatore. Non meritava però di essere canonizzato: perché la sua vita, come narrata dall’agiografia, è frutto di una narrazione distorta dell’adolescenza; e perché si tratta di una persona la cui vicenda umana ha carattere interamente privato, non essendosi espressa a livelli tali da assurgere a pubblico esempio. Il risultato è esattamente il minestrone cattolico criticato dalle altre chiese, nonché dagli atei: bigottismo, creduloneria e un tocco patetico per quella che, in fondo, è soprattutto la storia di una vita drammaticamente spezzata a quindici anni.

Perdonaci, Carlo, anima bella, per quello che stai subendo da morto.

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