Il Movimento Sacramentale Indipendente nasce, per sua intrinseca natura, con la volontà di diffondere in lungo e in largo il patrimonio sacramentale della Chiesa indivisa, favorendo l’assunzione dei sacri ordini al di fuori delle logiche romane. Nel XIX secolo, e fino a tutta la prima parte del XX, ciò non comportava il rischio di infrangere il detto evangelico «non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle ai porci» (Mt 7, 6), giacché – salvo la presenza di esaltati – le persone còlte nella società occidentale dell’epoca erano quelle che sapessero semplicemente leggere e scrivere.

La trasmissione dei Sacri Ordini avveniva, tipicamente, seguendo i rituali delle Chiese di provenienza; soprattutto, per non incorrere nella censura della bolla Apostolicae curae di Leone XIII del 1896, si seguiva in maniera benedettina il Pontificale Romanum: il Papa, infatti, aveva sancito definitivamente che le ordinazioni anglicane compiute «ritu eduardiano» (cioè secondo il rito anglicano approvato da Edoardo VI) non solo fossero distanti dalla forma romana, ma difettassero pure dell’intenzione, cioè della precisa e necessaria volontà di fare ciò che fa la Chiesa Cattolica per ordine di Cristo Gesù.

Oggi il quadro è cambiato notevolmente rispetto al secolo XIX: la confusione degli ordini anglicani con quelli vetero-cattolici in séguito agli accordi di Bonn del 1931, la sciatteria liturgica diffusasi in tutto il mondo dopo il Vaticano II che ha indubbiamente tolto alle Chiese indipendenti il modello romano di riferimento, e non in ultimo la diffusione di un diverso atteggiamento nei confronti della religione, sono tutti fattori che hanno letteralmente stravolto la realtà indipendente.

In questo articolo vedremo brevemente le criticità emerse negli ultimi decenni, per comodo tanto dei vescovi, quanto dei fedeli.

1 – Ordinare CHI

Il primo problema è il candidato al sacerdozio, uomo o donna. Serve qui una premessa: dopo la diffusione dell’ordinazione femminile nella Chiesa Anglicana le posizioni si sono nettamente divise, in maniera difficilmente conciliabile. A parte alcuni oscuri riferimenti nell’antichità e nella tarda antichità, che sono tutti suscettibili di diversa interpretazione, la Chiesa storicamente non ha mai considerato canoniche le ordinazioni femminili oltre il diaconato, caratteristiche di gruppi da sempre considerati eretici, come gli gnostici. Ciò non significa che, oggi, non si possa far riferimento, nella propria esperienza religiosa, proprio a queste antiche realtà, ma si deve essere coscienti che, in tal caso, parlare di “validità” degli ordini femminili non ha senso, perché non esiste più una regola universale da seguire.

L’unico argomento forte in favore dell’ordinazione femminile è di ordine naturale: qualunque corpo celi un’anima umana può ricevere validamente un sacramento, purché intervenga la ragione. Ciò significa in concreto che può essere ordinata qualunque persona, uomo, donna o di sesso indefinito, che si dimostri in grado di comprendere la natura del sacerdozio.

All’atto pratico la decisione se ordinare o meno delle donne, soprattutto per ciò che concerne il grado dell’episcopato, è di natura politica: poiché la Chiesa Romana e l’Ortodossa non lo fanno, e qualcuno nelle Chiese indipendenti crede ancora di potersi mettere alla pari con loro, alcune Chiese hanno deciso l’assurdità di eleggere donne al presbiterato e non all’episcopato, che è semplicemente un livello superiore di quest’ultimo. Poiché, come abbiamo già dimostrato, la maggioranza delle ordinazioni indipendenti è nulla per la Chiesa di Roma, ed a maggior ragione per Costantinopoli, il problema non si pone: nessuno, fuori dalle stesse Chiese indipendenti, ha il diritto di sindacare la legittimità dell’ordinazione femminile o maschile.

Uomini o donne, il motto evangelico «non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle ai porci» (Mt 7, 6) vale per entrambi. Ciò significa che il vescovo deve esigere una preparazione teologica e canonistica minima da parte dei candidati, non necessariamente istituzionale, ma di livello universitario. La formazione deve essere compiuta con precisa verifica delle competenze non solo teologiche, ma anche sacramentali e liturgiche dei candidati: non basta che conoscano a pappagallo il rito di Paolo VI per averlo udito in una chiesa romana, serve che conoscano puntualmente la natura e l’effetto metafisico delle loro azioni.

Va da sé che il candidato debba essere di moralità assolutamente irreprensibile:

Non aver fretta di imporre le mani ad alcuno, per non farti complice dei peccati altrui. Conservati puro! (1 Tim 5, 23)

I sacramenti sono perpetui ed agiscono automaticamente, per promessa divina, quando si compie con corretta intenzione il rito (ex opere operato). Appare dunque infondato (ed a tratti ridicolo) l’atteggiamento di chi, per inimicizia o, peggio, perché pentito delle proprie scelte poco oculate, sostiene che basti una “scomunica” per eliminare il sacramento, o addirittura ne lega l’efficacia al mantenimento di determinati requisiti morali. Anche un grandissimo peccatore può validamente ordinare.

2 – Ordinare COME

I sacramenti vengono da Dio a mezzo di Cristo Gesù; le considerazioni canonistiche contenute in questa pagina sono creazione degli uomini, nondimeno servono per chiarire i confini delle azioni umane e per uniformare la Chiesa al suo modello divino. Ciò significa che, benché non possiamo mai impedire a Dio di mandare il suo Spirito pur con un rito considerato improprio o invalido, possiamo stare certi, in forza del potere di legare e di sciogliere attribuito da Cristo agli Apostoli (Mt 16, 19), che se si seguono le regole codificate nei secoli dalla Chiesa indivisa, non si sbaglierà mai.

Dopo il nostro preambolo, appare evidente che la scelta del rito di ordinazione sia essenziale. Giovi qui ricordare i tre elementi che compongono la validità del sacramento:

  • Materia: l’imposizione delle mani.
  • Forma: gli altri gesti e le parole prescritti dal rito.
  • Intenzione: la volontà, da parte del consacrante, di agire secondo il mandato di Cristo, facendo così quel che fa la Chiesa universale.

Il sacramento, nella sua forma tradizionale, prevede unzione (più complessa per i vescovi), imposizione delle mani (chirotonìa), preghiera. L’unzione (ovviamente!) non può essere compiuta con un olio a caso, se il rito prescrive il crisma. Anche qui, serve serietà assoluta rispetto alla Tradizione cui si aderisce.

L’imposizione delle mani è l’elemento centrale, come chiarisce la Sacra Scrittura:

Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. (Lc 4, 40)

Impose le mani a pochi ammalati e li guarì. (Mc 6, 5)

Essendo passato di nuovo Gesù all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi e lo pregava con insistenza: “La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva”. (Mc 5, 21-23)

Non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, scese su di loro lo Spirito Santo e parlavano in lingue e profetavano. (At 19, 6)

Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samaria aveva accolto la parola di Dio e vi inviarono Pietro e Giovanni. Essi discesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora sceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo. (At 8, 14-17)

La Scrittura non riferisce di determinate parole che devono accompagnare l’imposizione: è la ragione per cui il rito romano la pratica muta, nel silenzio più assoluto. Il sacramento dell’ordine consiste essenzialmente in questo.

Quanto alla preghiera di consacrazione, essa serve, in buona sostanza, a manifestare l’intenzione del celebrante, e costituisce l’elemento più critico, giacché – come abbiamo detto – la nullità degli ordini anglicani fu decisa dalla Santa Sede principalmente sulla base della preghiera eduardiana. Il consiglio è, nel dubbio, quello di attenersi sempre al pontificale e, ovviamente, di verificare che lo stesso consacrante sia stato ordinato con una preghiera valida.

Da questo punto di vista la validità può supporsi quando dalla preghiera emergano almeno tre aspetti:

  1. La volontà di trasmettere lo Spirito Santo;
  2. La volontà di ordinare/consacrare compiendo un atto sacramentale;
  3. La volontà di compiere lo stesso atto che da Cristo, attraverso gli Apostoli, giunge fino a noi.

La possibilità concreta di incappare in nullità varie a causa della sola preghiera comporta alcuni effetti pratici di un qualche interesse. Il più evidente è che una certa preghiera possa essere valida rispetto ad una determinata linea di successione, ma non rispetto ad altre. Questa circostanza deve essere chiara ai vescovi indipendenti che millantano, ad esempio, improbabili genealogie orientali, tutte perdute – ovviamente – se uno dei consacranti ha adoperato un rituale gnostico o anglicano. Allo stesso modo sarebbe assurdo se qualcuno pretendesse di vantare la linea Duarte-Costa a norma del diritto canonico romano, passando da una donna: è il caso attuale della nostra Chiesa, che infatti aderisce al vetero-cattolicesimo, dove tale forma è ammessa.

Appare evidente che, se si adoperassero dei criterii razionali, la maggioranza delle ordinazioni nelle Chiese indipendenti sarebbe nulla. In questo caso, afferma la dottrina, supplet Ecclesia: è la forza dello Spirito di Dio a superare le nullità create dagli uomini. Purché non se ne abusi.

Nota: non abbiamo trattato qui di altri elementi accidentali prescritti da alcuni riti, soprattutto i più antichi, come la porrectio instrumentorum, che prescriveva di consegnare simbolicamente all’ordinando gli strumenti del sacerdozio o dell’episcopato (patena, calice, libro dei Vangeli). Va da sé che il valore di questi rituali aggiuntivi vada valutato con riguardo alla Tradizione cui si appartiene, giacché non esistono regole assolute.

2 commenti a “Ordinare CHI, ordinare COME: vademecum per le Chiese indipendenti”
  1. Paolo conosce almeno una ‘apostola’ e usa per i ministeri femminili gli stessi termini che usa per il suo; nelle comunità primitive incontriamo donne in TUTTI i ruoli da cui sarebbero sorti gli attuali ministeri ordinati.

    Anche le fonti antiche, letterarie e iconografiche, che attestano l’esistenza di donne presbitere ed episcope (non mogli di ministri ordinati) sono tutt’altro che dubbie, e non possono essere ricondotte a gruppi eretici: troviamo tale iconografia in catacombe certamente ‘ortodosse’, come quelle di Callisto (II sec.) o di Priscilla (II-IV sec.).

    Tra il IX ed il X secolo, il Vescovo Attone di Vercelli, grande conoscitore della storia e della organizzazione liturgica della Chiesa, interrogato circa il valore da dare ai termini presbytera e diacona negli antichi canoni, risponde che nella Chiesa antica anche le donne ricevevano i ministeri ad adjumentum virorum. Secondo lui, fu soltanto l’XI canone del concilio di Laodicea (seconda metà del IV secolo) a vietare l’ordinazione presbiterale delle donne.
    Il vescovo di Vercelli scrive esplicitamente che nelle comunità cristiane antiche non solamente gli uomini ma anche le donne venivano ordinate (ordinabantur) e che esse erano a capo di alcune comunità (praeerant ecclesiis), si chiamavano presbyterae ed avevano il dovere di pregare, guidare, insegnare (Hae quae presbyterae dicebantur praecandi jubendi vel edocendi […] officium sumpserant).

    Abbiamo anche fonti liturgiche.
    In presenza dei tanti e tali elementi che abbiamo riferito, chiunque avrebbe dedotto l’esistenza di un ministero ordinato femminile parallelo a quello maschile e più tardi soppresso, perché si può’ interpretare in maniera diversa dal significato più ovvio ogni singola testimonianza, ma farlo per tutto il loro insieme è arbitrario.

    Piuttosto, bisogna rilevare che i criteri di ordinazione variano nel tempo, ma quel che conta è che: “Gli storici rilevano che molte donne sono state considerate ordinate secondo la definizione che al tempo si dava di ordinazione” (B.S. Zorzi ).
    Avendo a lungo studiato la questione, sarei lieta di avere un confronto e mettere a disposizione materiali.

    +m. Teodora Tosatti, vescova vetero-cattolica, biblista

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