Che vuol dire “resurrezione”? La domanda è pertinente con il giorno in cui si celebra la Pasqua, e anche con i timori del cristiano moderno, che vede la resurrezione come un dogma sovrabbondante cui credere. La sua assoluta necessità è però presto detta: gli uomini sono un sinolo, un’unione, di materia e forma, dove la materia è la carne e la forma è l’anima. L’anima non è uno spiritello che abita il corpo, e tantomeno è la coscienza, frutto dei meccanismi del cervello; essa è piuttosto l’idea dell’uomo come essere completo in una determinata contingenza, e quindi non di un uomo astratto, ma di me, di te, e di ciascun uomo che sia mai esistito. L’anima si manifesta in un corpo come una fiamma proietta una luce, ma non ha bisogno di un corpo per esistere, esattamente come la ricetta di una torta esiste indipendentemente dalla torta realizzata: l’anima dunque è eterna ed il corpo no, e la Rivelazione ci insegna che la ragione è il peccato originale.

Dopo la morte l’anima resta eternamente disponibile nella creazione, addormentata nel seno di Abramo, così come le vicende della sua vita terrena, giacché in Dio non sussiste il tempo, e tutti gli eventi sono contemporanei, perpetuamente iscritti nella creazione. Ciò significa che noi tutti nasciamo, viviamo e moriamo nello stesso istante, e questo orizzonte è eterno, come insegna, sostanzialmente, anche la Fisica moderna: «per noi, che abbiamo fede nella fisica, la separazione tra passato, presente e futuro ha solo il significato di un’illusione, per quanto tenace» (A. Einstein, 1955).

A queste verità della ragione, la fede aggiunge un dogma rivelato: una coscienza superiore, Iddio, è conscia di questi meccanismi, e un giorno riunirà le anime con un corpo, per ridarci una coscienza sensibile. Resurrezione significa, dunque, tornare uomini dopo la morte, ma di un’umanità diversa, uguale agli angeli (Lc 20, 36), con un corpo perfetto e un’anima purificata. Significa, dunque, diventare pienamente figli di Dio (ibid.).

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