Desta un certo scalpore, ogni 19 settembre, la celebrazione dello scioglimento del sangue di San Gennaro. La vera domanda per il cristiano non è quella inerente il prodigio in sé (è sangue o non è sangue, se si sciolga per cause fisiche, etc.), bensì le ragioni che, per secoli, hanno spinto la Chiesa a presentare in pubblico questo evento ai fedeli.
Una lettura cinica limita ogni devozione a uno spettacolo: si gioca con i sentimenti del popolo per sottometterlo, più che per educarlo, e nei fatti la Chiesa viene presentata come un centro di potere, più che come una fonte di salvezza.
Se è indubbio che ciò possa esser stato vero storicamente, è anche vero che non sono mancati santi uomini dietro la festa di San Gennaro, che avevano a cuore la salvezza delle anime e che compresero di poterla ottenere attraverso il rituale dello scioglimento del sangue.
Per il cristiano il martire incarna l’essenza della salvezza: dare la vita per i proprii amici (Gv 15, 13), e segnatamente morire per la fonte dell’amore infinito che è Dio. Il martire imita perfettamente Cristo morendo nel suo nome: non è ucciso in quanto avversario di qualcuno, bensì in quanto il suo uccisore riconosce in lui il segno di Cristo.
Il sangue del martire, dunque, imita il Sangue di Cristo: è il vero sacrificio gradito a Dio, perché è il sacrificio della vita sull’altare dell’agnello.
Da qui la venerazione per il sangue dei martiri, un sangue che veniva sepolto in fiale o coppe a lato del santo, e che nel caso di San Gennaro si è conservato intatto fino ai giorni nostri.
Il sangue di San Gennaro è dunque un sangue salvifico, perché ribolle vivo in attesa della Resurrezione, e testimonia con la sua stessa presenza la forza della Fede:
Sanguis martyrum semen christianorum (Tertulliano)
Questo il senso della devozione al sangue di San Gennaro, al di là dell’aspetto miracolistico ormai stabilmente diffuso dalla stampa.