Il papa è morto. Tutti dobbiamo morire. Siamo uomini e ci affezioniamo alle cose, alle situazioni, agli animali, e certamente alle persone: è normale provare tristezza per la morte di un uomo, bello o brutto, buono o cattivo; figurarsi, dunque, se non ci dispiace che sia morto il Papa.

Tuttavia noi siamo cristiani, e nel nostro essere cristiani dobbiamo essere soprattutto coerenti col vangelo. Chiediamoci dunque: cosa ci ha mandato la Provvidenza oggi, e come dobbiamo comportarci?

La prima osservazione da fare è che il papa è un uomo, e per giunta papa Francesco era un uomo di 88 anni. Se muore un bambino a Gaza sotto i bombardamenti israeliani è una tragedia, se muore un padre di famiglia ucraino sotto i bombardamenti russi è una tragedia, se muore un giovane malato di cancro è una tragedia; se muore un vecchio malato di 88 anni è una cosa attesa, che ci si aspetta da tempo, e che fa parte del ciclo della vita umana. Per i bambini di Gaza non vengono organizzate veglie nè funerali in diretta mondiale, mentre per il vecchietto di 88 anni va in lutto anche la serie A di calcio. Qualcosa non torna, no?

Ma il punto cruciale è quello teologico: il Papa è servus servorum Dei, un servitore di Dio chiamato a guidarne la barca terrena. Il Papa non incarna alcun potere sovrannaturale, non è un super-uomo, è solo la persona che, coi suoi pregi e i suoi difetti, Dio ha chiamato a guidare la Chiesa. E questo significa che «morto un papa se ne fa un altro»: morto il Papa non finisce la Chiesa, Dio manda un altro uomo a guidarla ed a governarla. Si può piangere l’uomo, dunque, ma la Chiesa dura e durerà oltre la sua vita terrena.

Da dove nasce, dunque, l’equivoco? Dalla cosiddetta «papolatria», la sovraesposizione mediatica e culturale del Papa avvenuta a partire dalla Pastor æternus del 1870, che sancì il dogma dell’infallibilità pontificia, ed è poi esplosa con l’ultimo concilio. Queste nuove concezioni teologiche hanno tramutato il Papato da superiore gerarchico a ipostasi divina, addirittura dotata del crisma dell’infallibilità, sicché chi ubbidisce al Papa ubbidisce a Dio.

Noi, da gallicani veterocattolici, piangiamo la morte di Francesco, al secolo Bergoglio, e raccomandiamo la sua anima a Dio. Ma non osiamo andare oltre: è morto un uomo, non un angelo. Ora spetta ad un altro uomo sostituirlo. Solo la fede in Dio onnipotente può garantirci che non saremo mai soli in questo ciclo di morte e resurrezione.

Requiescat in pace.

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