Nel Cattolicesimo, fin dal V secolo, esiste un concetto ingombrante che ha assunto proporzioni dogmatiche inimmaginabili: il peccato originale. L’idea non nacque come novità, ma – significativamente – non era stata definita nei primi secoli, e comparve per la prima volta, già definita, negli scritti di un grande apologeta: Sant’Agostino.
Parlare di Sant’Agostino non è facile: prima pagano, poi manicheo, in fine cristiano, rappresenta il crepuscolo del mondo antico ed al contempo l’emersione di una teologia cattolica che stentava ancora a definirsi in un mare di dottrine contrapposte.
Agostino ha per esse una sentenza inevitabile: sono eresie, mentre lui e i suoi amici (tra cui il vescovo di Milano Ambrogio, i pontefici di Roma, e l’amico-nemico San Girolamo) detengono la verità cristiana. Il problema è che questa verità, dal punto di vista dottrinario, non esisteva: metterla per iscritto, come fece lui, significava in buona sostanza definirla. In questo modo quel che era un generico consenso nella Chiesa divenne dogma, ed attraverso gli scritti di Agostino si diffuse in tutto l’Occidente.
In particolare Agostino era in lite perenne con un gruppo di cristiani, a suo dire eretici, che facevano capo a un retore britanno, Pelagio. L’idea complessiva di Pelagio era in sé piuttosto banale, ma non ingenua: Dio ha creato l’uomo con un’anima razionale capace di discernere il bene dal male, e la pratica di tanti filosofi pagani che vissero santamente dimostra che il bene è insito nell’uomo, quindi chiunque può essere buono e vivere una vita buona, perché la giustizia è, essenzialmente, il frutto di una scelta razionale.
Oggi le idee di Pelagio appaiono del tutto possibili e ragionevoli; e tali sembravano anche a Giovanni, vescovo di Gerusalemme, ed a tanti altri che in vita difesero Pelagio e la sua concezione del mondo. Ma queste idee avevano un grande difetto: toglievano alla Chiesa, ed in particolare ai suoi sacramenti, il potere di decidere la salvezza degli uomini.
Pensateci bene: se siete voi soli gli artefici della vostra salvezza attraverso l’esercizio del vostro libero arbitrio, come si può dire che sia necessario essere cristiani, battezzati e comunicati, per essere salvi? In effetti Cristo diceva genericamente che «la salvezza viene dai Giudei» (Gv 4, 22), ma poi aveva ottimi rapporti coi pagani; al famoso centurione, cui guarisce un servo (col dubbio dei moderni che potesse trattarsi addirittura di un amante), Gesù risponde:
In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti.
(Mt 8, 10-12)
Insomma, Cristo non sembra richiedere altro che un’adesione spassionata al Vangelo, inteso come buona novella, per essere salvi.
La Chiesa ha, in effetti, recepito questa originaria impostazione attraverso il concetto di «sacramento di desiderio»: si sostiene, in soldoni, che poiché i sacramenti vengono da Dio, possano essere ricevuti anche solo per via spirituale, senza bisogno dei segni esteriori (acqua, pane, vino, parole, gesti). Questa dottrina viene poi corretta da una prassi che, nell’impossibilità di misurare lo spirito, prevede comunque di sottoporre la persona ai relativi riti: si tratta, insomma, di normalizzare agli occhi del diritto canonico, e quindi della realtà materiale, una cosa che in sé nasce come spirituale, e non controllabile.
Ora, se si segue questa impostazione, non si può dire che Pelagio fosse in torto: anche i pagani, esercitando l’uso della ragione, potevano scegliere di fare il bene, e per questo salvarsi senza la mediazione della Chiesa.
Sant’Agostino rispose con una teoria complessa e contorta, che più che un’obiezione era una petitio principii. Secondo il santo, infatti, reduce dall’adesione al manicheismo, bene e male sono due concetti cosmici: il bene è Dio, ed il male l’assenza di Dio, di guisa che Dio è solo dove si trova il bene.
Ora, per logica conseguenza, se Dio è il bene chi fa il bene è in Dio. Ma accettare questa idea significava dare ragione a Pelagio. Quindi Sant’Agostino sostenne che non tutto ciò che sembra bene è bene, ma solo quel bene che viene da Dio, e cioè ciò che gratis Dio concede ai proprii fedeli.
Questo bene che discende «gratis» da Dio fu detto «grazia». La grazia è, in estrema sintesi, lo stato di unione dell’anima umana con la volontà di Dio. Chi è in grazia compie cose buone, se vuole; se non vuole, perde lo stato di grazia e diviene peccatore. La grazia come si acquista? Principalmente coi sacramenti dati dalla Chiesa, senza cui non c’è salvezza.
Sant’Agostino non giunge forse a dire che solo i cristiani sono buoni, ma certamente la sua idea è che senza la grazia di Dio non sia possibile essere cristiani e scegliere il bene. Il libero arbitrio così viene condizionato da una spinta esterna su cui i posteri scriveranno libri.
Poiché questa teoria da sola non reggeva (come abbiamo detto, era impossibile infatti dimostrare che la grazia non fosse acquisibile anche fuori dalla Chiesa), Agostino la collegò alla narrazione biblica: Adamo, mangiando la mela, avrebbe perso lo stato di grazia, trasmettendo la sua colpa agli uomini. Cristo avrebbe redento l’umanità privandola di questo «peccato originale» attraverso il battesimo, che lo cancellava, e ai sacramenti che ristabilivano continuamente lo stato di grazia perduto.
Questa idea forse poteva essere credibile per i primi cristiani, convinti dell’esistenza storica di Adamo ed Eva, e non solo: poteva essere ragionevole per popoli che credono nell’ereditarietà della colpa, concetto peraltro assente nel primo impianto del cristianesimo, come conferma il fatto che Cristo ha redento in potenza tutta l’umanità, ma poi in concreto promette la salvezza solo ai «πολλοί» (molti) che lo seguiranno. Se fosse esistita una colpa universale, allo stesso modo sarebbe dovuta esistere una redenzione universale; chi vuol salvare l’assurda idea del peccato originale, come concepito da Agostino, ha quindi escogitato il concetto di apocatastasi, con ciò intendendo che la Redenzione, alla fine dei tempi, ricondurrà comunque tutto all’unità di Dio.
Altri, e sono stati gli agostiniani più intransigenti, come Lutero e i giansenisti (ma non necessariamente Giansenio), hanno talmente esteso le idee agostiniane fino a parlare di «grazia irresistibile»: Dio salva chi vuole, e chi non vuole si danna (doppia predestinazione). Praticamente per salvare il sistema teologico basato sul meccanismo del peccato originale, si sacrifica il libero arbitrio (una nostra interpretazione qui).
La soluzione che oggi appare più semplice è quella di ritenere che la narrazione della Genesi non stia descrivendo un’ipotetica caduta dell’uomo primitivo, ma l’itinerario di vita di ogni essere umano: tutti nasciamo nella materia con la possibilità di essere buoni o malvagi, e Dio consente a tutti di scegliere liberamente come vivere la vita. Alcuni decidono di peccare, come Adamo, e sono condannati a restare invischiati nelle cose materiali; altri accettano la mano tesa da Cristo, e si salvano ritrovando Dio.
L’Eden biblico non è un luogo reale della storia, ma uno stato di pre-vita dell’anima in cui essa è congiunta con Dio. Tutti noi ne possiamo avere una qualche memoria quando crediamo di aver già incontrato certe persone in un’altra dimensione: le culture orientali interpretano queste memorie come residui di vite passate, quando più ragionevolmente sono frutto dell’incontro delle anime prima della nascita.
Ne consegue che non v’è alcuna caduta dell’umanità e nessuna colpa ancestrale da far redimere a Cristo sulla croce. C’è invece l’uomo da salvare; ma non un uomo generico, bensì tu, io, e ogni singolo uomo preso come individuo che ritorna al Padre.
Se così stanno le cose, i sacramenti sono indubbiamente la via maestra per raggiungere Dio. Ma non perché la grazia sia irraggiungibile altrimenti, bensì solo perché coi sacramenti è possibile essere certi di conseguirla. Sta comunque a noi, e solo a noi, aderirvi: essa non è una formula magica che sana ogni vizio, ma solo un aiuto che spinge l’anima a guarire. Siamo noi a dover volere di stare con Dio. Dio non sceglierà per noi.