C’è una storiella che gli antichi padri del deserto (come Sant’Antonio Abate) raccontavano ai novizi verso il IV secolo. Recita pressappoco così:

Un ricco proprietario decide di farsi monaco, va dall’abate e quest’ultimo gli ordina di rinunciare a tutti i suoi beni e di chiudersi in cella a pregare. Il novizio esegue, vende tutto, intasca i soldi e si mette nella cella a pregare. Ma la cella è brutta, la porta neanche si chiude; allora va dall’abate e gli dice che si deve sostituire la porta. L’abate gli ingiunge solo di rinunciare a tutti i suoi beni e di tornare a pregare. Il novizio dà via quasi tutti i soldi, e si tiene solo degli spiccioli. Torna nella cella a pregare, ma vede che il tetto è vecchio e sta per crollare; allora va dall’abate e gli dice che va riparato. L’abate gli risponde che ancora non ha rinunciato a tutto: deve farlo e tornare a pregare. Il novizio dà via anche gli spiccioli e torna nella cella. Ma ha paura: che succede se dai buchi nel tetto entra un leone? Va allora dall’abate e gli confessa questa paura. L’abate risponde:

Figlio mio, magari mi crollasse tutto il monastero in testa, o venisse il leone a mangiarmi: sarei così liberato da questo corpo mortale e raggiungerei l’Onnipotente Iddio!

La narrazione risente del rigore ascetico degli eremiti africani, soprattutto egiziani, per i quali era essenziale seguire il consiglio evangelico dato al ricco in Mc 10, 16-30: l’abbandono dei beni materiali è visto come indispensabile per fuggire dai bisogni del corpo e quindi dalla finitezza della materia, per attingere all’Assoluto. In ciò il primo Cristianesimo concorda totalmente con l’Induismo, con la sostanziale differenza che nel pensiero cristiano il corpo è tempio dello Spirito nobilitato da Nostro Signore Gesù Cristo attraverso il mistero dell’Incarnazione. Noi risorgeremo col corpo, un corpo nuovo, incorruttibile, ma pur sempre corpo. Il Cristianesimo ha capito, insomma, che tutto lo spiritualismo del mondo non può cancellare un’evidenza: l’uomo è un corpo con un’anima, plasmato dalla nuda terra, e non un’anima che riceve accidentalmente un corpo, come in certe dottrine orientali.

Non tutti siamo chiamati a questo genere di rinunce, ma tutti siamo chiamati a non essere servi della materia, che è uno strumento e non un fine. In questo senso non dobbiamo mai essere attaccati a niente, neanche alla nostra stessa vita, se l’Onnipotente la reclama.

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