Un sacerdote napoletano riferisce che un flacone contenente olio benedetto sul sepolcro del maronita San Charbel, svuotato durante la celebrazione per ungere i fedeli, si sarebbe riempito miracolosamente negli istanti successivi, in presenza di molti testimoni (notizia qui). Non ci sono motivi per non credere alla sincerità delle persone coinvolte, nessuna delle quali sembra animata da fanatismi: si tratta di una testimonianza sincera che va presa per quel che è, la Chiesa non obbliga a credere ai miracoli fuori dalla Scrittura, e si tratta, alla fine, di una questione di privata coscienza.

Tuttavia un prodigio simile, accostabile, con i dovuti distinguo, al recente miracolo attribuito alle acque di Lourdes, non può che farci interrogare sulle priorità di Dio e sulle nostre. Ad una mente razionale sembra illogico e profondamente crudele che questo Dio lasci morire di fame i bambini di Gaza, mentre si preoccupa di moltiplicare l’olio in una oscura chiesa napoletana. Nè si capisce perché, tra milioni di pellegrini gravemente malati, Dio abbia selezionato giusto giusto la signora italiana che si dice guarita.

Due le possibili reazioni: o diciamo che le priorità di Dio devono essere le stesse nostre priorità, e quindi necessariamente dobbiamo negare questi due miracoli, perché ne andrebbe della nostra fede; o ammettiamo che Dio non ragiona come noi perché sa cosa sia giusto in una prospettiva che non è la nostra, ma quella dell’eternità.

Quest’ultimo è, esattamente, l’insegnamento che proviene dalla Scrittura:

Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremo accettare il male? (Gb 2, 10)

Sono io che dò la morte e faccio vivere; io percuoto e io guarisco e nessuno può liberare dalla mia mano. (Deut 32, 39)

Il Signore fa morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire. (1Sam 2, 6)

Questa dottrina appare tanto distante dal Dio caramelloso del cattolicesimo moderno, più simile ad un colossale peluche spirituale che ad un Assoluto dal disegno inarrestabile. La ragione è presto detta: l’uomo moderno è pervaso da un senso utilitarista che cerca l’utile anche nella Fede, e quindi pensa che non valga la pena credere in un Dio che, concretamente, non gli serve a niente. Egli si aspetta che l’Altissimo si comporti come un solerte cameriere pronto ad esaudire ogni suo desiderio, e la preghiera è ridotta a juke-box in cui, ad ogni Ave Maria, corrisponde un miracolo. Il clero avalla questa visione per la cronica paura di perdere fedeli, e la gente si illude che, a forza di parole, otterrà da Dio qualunque cosa.

Questo è l’esatto opposto dell’insegnamento di Cristo:

Quando pregate, non siate come gli ipocriti; poiché essi amano pregare stando in piedi nelle sinagoghe e agli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno. Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padre tuo che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa. Nel pregare non usate troppe parole come fanno i pagani, i quali pensano di essere esauditi per il gran numero delle loro parole. Non fate dunque come loro, poiché il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele chiediate. (Mt 6, 5-8)

Fino a un secolo fa questa era anche la prassi della Chiesa. Nel caso di calamità naturali, guerre, carestie, pestilenze, la Chiesa offriva il sacrificio della Messa ed invitava i fedeli a opere di contrizione private: novene, digiuni, elemosine, e così via. In questo modo, secondo i nostri padri, si testimoniava a Dio il nostro impegno a meritare, a mezzo delle afflizioni materiali, il suo intervento. Era un mezzo che rispecchiava il modo di ragionare degli uomini di un tempo, i quali credevano di poter negoziare un miracolo con Dio: io faccio questo, e tu mi dai in cambio quello. Logica spiccia che non possiamo biasimare con gli occhi di oggi.

Nel nostro secolo invece, piuttosto che pregare nella cameretta, vanno di moda le preghiere oceaniche: si chiede a Dio di ratificare il plebiscito della Chiesa (umana) che vuole questo o quel miracolo. Lo abbiamo visto pochi mesi fa, con Papa Francesco morente, quando orde di fedeli pretendevano da Dio la guarigione (e l’eterna vita mortale?) di un vecchio ultraottantenne giunto alla fine della sua esperienza terrena, un uomo tra i tanti come tutti siamo uomini, ma non tutti (evidentemente!) otteniamo tante attenzioni da parte della Chiesa.

Sono queste delle ridicole derive del nostro tempo, in cui pensiamo di poter precedere il pensiero di Dio, ed invece di prendere di peso i nostri governanti per obbligarli al cessate il fuoco a Gaza o in Ucraina, stiamo a blaterare inutili formule sperando che Dio faccia il lavoro sporco al posto nostro. Un po’ come quando, seguendo le derive dell’ultimo pontificato, si lascia credere che Dio ci debba salvare solo per misericordia, e non anche per giustizia: vogliamo andare in carrozza, come si suol dire, non faticando per meritare ciò che pretendiamo di ricevere.

Dio però non si fa comandare, e mentre noi aspettiamo che fermi le armi al posto nostro, rinfocola la Fede di un pugno di fedeli napoletani con un prodigio apparentemente futile. Come a dire: io ci sono, siete voi che non mi cercate nel posto e nel modo giusto.

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