Il sacerdozio cristiano

La ricerca su sé stessi è il principio di ogni vocazione. Il sacerdote è colui che ha scalato la montagna per vedere da dove sorge il Sole, ha ricevuto il dono dello Spirito di Dio ed è quindi capace di ridistribuirlo ai fratelli. Solo chi ha visto la Luce può dare testimonianza della Luce (Gv 1, 6-7). Il resto è autoinganno, cialtroneria, e in alcuni casi frode ai danni di ignari ricercatori spirituali.

+ Aloysius Pansebastus


Nel Cristianesimo esiste un sacerdozio comune a tutti i fedeli e un sacerdozio ministeriale, distinti dall’attribuzione di uno specifico sacramento. Ciò significa che siamo tutti sacerdoti nella nostra vita quotidiana quando offriamo le nostre opere, sofferenze e gioie a Dio onnipotente; alcuni, invece, sono chiamati ad essere attivamente degli strumenti di Dio ed a realizzare nel mondo la sua presenza attraverso l’imposizione dei sacramenti: è il sacerdozio ministeriale o ordinato, che trova la sua origine nella sacra ordinazione compiuta da un vescovo munito di valida successione apostolica.

ll sacerdote ordinato offre un servizio al prossimo, è un dono agli altri che deve essere intrinsecamente spontaneo e gratuito (Mt 10, 8) ed è, quindi, il modo in cui Dio consente agli uomini che sceglie come suoi emissari di realizzare più pienamente la sua opera nel mondo. Non è necessariamente la cosa in cui i sacerdoti, come esseri umani, siano più bravi, e non è neanche la cosa che li renderà personalmente santi: è una cosa che va fatta, come al mondo serve chi dia da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, così serve qualcuno che dia i sacramenti.

Questo significa essere pienamente uno strumento di Dio. Ogni sacerdote, ovviamente, vive questa dimensione nella sua vita, e lì Dio opera su un piano personale, intimo, non classificabile. Non si diventa sacerdoti solo con un rito, e tantomeno con improbabili «conversioni» moraleggianti: si diventa tali alla luce di un’esperienza di vita, che abbia maturato nell’aspirante, a mezzo della grazia di Dio, la coscienza della presenza dell’Assoluto nella sua esistenza contingente, qui e ora. Una rivelazione privata che diviene, a tutti gli effetti, realizzazione spirituale.

Il sacerdozio è il culmine, insomma, di un percorso iniziatico, che prosegue per tutta la vita e cessa solo con la realizzazione delle promesse di Cristo alla fine dei tempi. Non tutti sono invitati allo stesso modo a vivere questa esperienza: Dio chiama alcune persone (in latino vocare, cioè chiamare, da cui vocazione), le sottopone a dure prove, e prima o poi le mette nelle condizioni di poter scegliere una via. Da questo punto di vista possiamo affermare con certezza che essere sacerdoti non sia un mestiere che si sceglie, ma una condizione spirituale che si realizza nella storia. E chi vuol diventare sacerdote deve dimostrare, prima di tutto, di aver vissuto: al contrario di quanto avviene nella Chiesa romana, dove si predilige il candidato ventenne, talora formato in una scuola cattolica o addirittura al preseminario, che mai ha messo il naso fuori dal suo bozzolo di certezze, che mai ha provato un amore, che ha vissuto soprattutto dolori passeggeri attutiti dall’abbraccio di una buona famiglia, che mai ha studiato le cose del mondo, e – di solito – che mai ha provato la ristrettezza economica, perché chi ha problemi di borsa e deve mantenere la famiglia, oggi, difficilmente può lasciare tutto per mettersi a fare il prete.

Noi rimproveriamo al clero romano proprio il fatto di essere un corpo di stipendiati, di χριστέμποροι che vegetano alle spalle di Cristo. Se per diventare sacerdote si passasse prima dal “seminario della vita” sarebbe tutto diverso. Come ripeteva l’allora Card. Ratzinger, l’unico vero sacrificio a Dio gradito è quello della nostra vita, ed è il sacrificio che deve offrire prima di tutto il sacerdote, a suo modo, con la sua cultura, nella sua contingenza, ma senza tirarsi indietro.